Yuri Basilicò di Va' Sentiero racconta l'esperienza sulla Via del Nord della Via di Francesco, cammino certificato Touring nell'ambito del progetto Cammini e Percorsi, cui è dedicato anche un volume della collana "In cammino". Ecco tutti gli articoli, le schede e i volumi sui cammini certificati:

«Su un cammino del genere si è più pellegrini che viaggiatori» sottolinea Gigi Bettin, volontario del percorso e autore di pubblicazioni dedicate alla Via del Nord, il ramo settentrionale della più ampia Via di Francesco, che si snoda per circa 200 km tra Toscana e Umbria. In dieci tappe, dal santuario della Verna ad Assisi (qui la scheda completa, con la descrizione tappa per tappa), il percorso collega alcuni luoghi legati alle vicende di quello che, con ogni probabilità, è il santo più iconico e venerato d’Italia. «Vuoi o non vuoi, che tu abbia una sensibilità religiosa oppure no, il cammino ci parla continuamente della straordinaria figura che fu San Francesco. Ne si tocca il messaggio tanto nei silenzi mistici dei complessi monastici, quanto nei cinguettii delicati che ravvivano il bosco. Talvolta si dorme negli stessi eremi dove pure fu accolto il Poverello d’Assisi, altre in ostelli semplici ed essenziali dove si è accolti in maniera speciale, da pellegrini appunto: dai sondaggi raccolti dai frati tra chi completa la via, alla domanda “cosa ti resta?” la risposta più frequente è proprio “l’accoglienza”. La Via è per altro un continuo saliscendi e la prospettiva di chi lo affronta cambia perciò continuamente: i boschi, poi i vigneti, infine gli orti e i borghi fortificati: a percorrerlo ci si sente un po’ dei viandanti di epoca medievale».

Francesco, in fatto di peregrinazioni, fu senz’altro un pioniere, e sebbene all’epoca fosse consuetudine indossare i calzari, invitava tutti, in segno di umiltà, a camminare a piedi nudi. In ogni caso, per calcare la Via del Nord, ai meno pii si consigliano più prosaicamente delle buone scarpe da cammino. Il viaggio comincia nella selva del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e ci si inoltra subito per sentieri e crinali.

Lungo la Via del Nord - foto Touring
Lungo la Via del Nord - foto Touring

FORESTE MONUMENTALI

Il Monte della Verna – un “crudo sasso”, lo descrisse Dante – s’innalza pigro nella valle del Casentino. Sulla sua sommità, tra faggi antichi e gli abeti bianchi piantati dai monaci, si apre l’omonimo santuario, costruito sul bordo di una bianca parete arenacea che si presta ad altare naturale. Francesco era molto legato a questo luogo, veniva a meditarci, a parlare agli alberi e partecipare al sacro. Pare che ad affascinarlo fossero le enormi fenditure e le caverne sulle pareti, generate da forze geologiche remote. Due anni prima di morire, il santo di Assisi si recò alla Verna per un ritiro di digiuno e preghiera di quaranta giorni. Si fece costruire una cella di legno appollaiata sul bordo delle massicce falesie, e lì, un giorno, assorto in preghiera, ricevette le stimmate. Oggi, al posto della cella di legno, sorge la Cappella delle Stimmate, che, sospesa sul vuoto, ricorda un monastero delle Meteore. 

Eremo della Verna - foto Shutterstock
Eremo della Verna - foto Shutterstock

Tutto intorno, si apre alla vista la Foresta Monumentale della Verna, uno dei migliori esempi di foresta appenninica mista conservata in stato semi-naturale, dove si possono ammirare abeti che raggiungono anche i cinquanta metri di altezza. La cura della selva è da sempre affidata ai frati, cui, grazie al parsimonioso utilizzo delle risorse naturali predicato da Francesco, si deve la prodigiosa conservazione del bosco.

Foresta Monumentale della Verna - foto Shutterstock
Foresta Monumentale della Verna - foto Shutterstock

La Via del Nord attraversa anche un’altra area protetta. Superati alcuni resti della Linea Gotica (la linea difensiva che nel ‘44 l’esercito tedesco realizzò sull’Appennino Centrale per bloccare l’avanzata degli Alleati), ci si inoltra nella Riserva Naturale dell’Alpe della Luna - luogo poetico quanto il nome lascia presagire - sulle impronte di lupi e caprioli. Varrebbe la pena portarsi nello zaino una copia del Cantico delle Creature, salire alla Ripa della Luna e leggerlo lassù, affacciati su questa natura così rigogliosa. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba…

DI BORGHI ANTICHI, RESURREZIONI E CARRI ARMATI

Scendendo dalla Verna si attraversano le valli dell’Alto Tevere, lo sguardo plana su prati da fieno e campi colorati, e un dopo l’altro spuntano borghi e paesi. Pieve Santo Stefano è nota come la "città del diario" per via dell’Archivio Diaristico Nazionale, fondato da Saverio Tutino, che conserva migliaia di memorie private. Ce n’è uno scritto da un soldato che, dimesso dalla guerra, percorse a piedi l’intero Appennino per rientrare a casa. A suo modo, e suo malgrado, pellegrino anch’egli.

Sansepolcro invece, leggenda vuole, deve le sue origini a due pellegrini che, di ritorno dalla Terra Santa, portarono con sé alcune reliquie del Santo Sepolcro (quello in cui fu sepolto Gesù) e, giunti ai piedi dell’Appennino Toscano, eressero un oratorio per custodirle. Attorno si costruì poi il  borgo, che diede peraltro i natali a uno dei più illustri pittori del Rinascimento italiano, tal Piero della Francesca. Il Museo Civico di Sansepolcro vanta alcune delle sue opere più significative, tra le quali proprio la Resurrezione - che raffigura il Cristo emergere dal sepolcro di Gerusalemme, mentre i soldati dormono ai suoi piedi. 

Sansepolcro - foto Shutterstock

Nel 1944, al capitano britannico Anthony Clarke fu ordinato di tirare su  Sansepolcro col suo carro armato per far ritirare le truppe tedesche. Amante dell'arte, Clarke - ricordando di aver letto in gioventù un saggio di Aldous Huxley che definiva la Resurrezione “la più bella pittura del mondo” - disobbedì deliberatamente agli ordini e risparmiò Sansepolcro e le opere di Piero. A lui è intitolata una via nel paese.

PARLA COI LUPI

Tra le colline coltivate, gli uliveti e i vigneti, la Valtiberina si allarga e lunghi filari di pioppi e cipressi ci accolgono in Umbria. Città di Castello conserva una vivacità culturale insolita per un cammino: tra le sue chiese si alternano botteghe di incisori e collezioni d’arte moderna. Il tratto successivo, per Pietralunga fino a Gubbio, passa nuovamente tra i boschi, punteggiati di eremi e abbazie. E proprio a Gubbio, secondo la tradizione, si svolse uno degli episodi più celebri della vita del Poverello.

Gubbio - foto Shutterstock

La leggenda narra che un grande lupo terrorizzasse la città, aggredendo animali, persone, e seminando paura. Francesco, saputo ciò, decise di andare incontro alla belva,  uscì dalle mura e lo affrontò con parole di pace. Quando l’animale gli si avvicinò ringhiando, il santo gli parlò con dolcezza (“fratello lupo…”), rimproverandolo per le sue azioni ma comprendendo la fame e la solitudine che lo spingevano ad attaccare. Gli propose allora un patto: avrebbe smesso di razziare in cambio del cibo offerto dagli eugubini (gli abitanti di Gubbio). Da miracolo, il lupo depose la zampa nella mano di Francesco. L’intera città, riconoscente, accolse il lupo come uno di loro, simbolo vivente di riconciliazione tra l’uomo e il creato.

Nel 1872, durante alcuni lavori nei pressi della chiesa della Vittorina, furono rinvenute ossa compatibili con quelle di un grande canide. Secondo il racconto tramandato dai frati francescani (e confermato dal veterinario Giovanni Spinaci) si trattava di uno scheletro di lupo, sepolto sotto una lastra di pietra medievale con una croce incisa. Da allora, quelle ossa sono conservate in una teca all’interno della chiesa.

San Francesco e il lupo, Gubbio - foto Shutterstock
San Francesco e il lupo, Gubbio - foto Shutterstock

Per inciso, Gubbio, detta anche “la città dei matti” (una volta ho sentito dire che è per via dell’alto tasso di consanguineità tra i coniugi, un’altra per l’iridio di origine meteoritica contenuto nel suolo, tant’è), a parere di chi scrive varrebbe da sola tutto il viaggio. La Festa dei Ceri, che mescola elementi cristiani e pagani, è per l’appunto una delle celebrazioni più folli cui si possa assistere. Ogni 15 maggio, gruppi di "ceraioli" gareggiano per le strade della città trasportando a spalla imponenti ceri in legno, tre in tutto (ciascuno rappresentante uno dei santi patroni), alti più di 4 metri, che oscillano (a volte persino cadono) sulla folla euforica. La corsa culmina con la salita al Monte Ingino per raggiungere la basilica di Sant'Ubaldo ed è accompagnata da urla, canti, fervori che trasformano la città in una bolgia. 

La Festa dei Ceri, Gubbio - foto Shutterstock
La Festa dei Ceri, Gubbio - foto Shutterstock

UN UNGHERESE AD ASSISI

Infine, superato il borgo murato di Valfabbrica, all’orizzonte prossimo compare Assisi. Si scorge dapprima il profilo della Basilica di San Francesco, proteso come il muso di un delfino, e tutto intorno i tetti in cotto, le torri campanarie, i contrafforti gentili. Vi si accede da porta San Giacomo, da cui uscivano i pellegrini diretti proprio a Santiago de Compostela.

«Entrare ad Assisi, dopo quell’ultima lunga salita, è speciale, toccante. Certo il luogo, il suo significato: ma quel che determina l’emozione di finire un cammino è quel che viene prima, le tappe (geografiche, personali) che lo scandiscono», riflette Oriella Sivieri, pellegrina di notevole curriculum che ha percorso le ultime tappe della Via del Nord. «Nel 2020, all’indomani del primo lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19, presi parte a una speciale staffetta che aveva come testimone il “bordone”, il simbolico bastone del pellegrino, destinato a Roma e al papa, in segno di speranza e rinascita dopo il tempo sospeso della pandemia. A ogni confine regionale, il bordone passava in nuove mani». Al suo interno, il bastone conteneva una lettera scritta proprio da Oriella: “Nuovi sentieri andavano tracciati, nuovi occhi dovevano incontrarsi, nuovi legami si sarebbero costruiti, nuovi orizzonti dell’anima era necessario raggiungere. Vollero ringraziare il silenzio ed il cuore per la mutata consapevolezza alla quale erano stati condotti. Presero un ramo da un albero di cedro, lo intagliarono e ne fecero il bastone col quale compiere il cammino”.

La basilica di San Francesco, Assisi - foto Shutterstock
La basilica di San Francesco, Assisi - foto Shutterstock

La via del Nord termina alla Basilica di San Francesco, dove nel 1230 furono deposte le spoglie del santo. Dal 2000 è Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Oltre alle testimonianze francescane, Assisi custodisce un passato romano straordinario, e il Tempio di Minerva, del I secolo a.C., domina ancora oggi Piazza del Comune con la sua maestosa facciata, perfettamente integra, sorretta da sei colonne corinzie. Sotto i piedi dei visitatori, nel sottosuolo della città, si nascondono alcune domus romane, residenze signorili con pavimenti in opus sectile e affreschi raffinati, aperte al pubblico da pochi anni. 

Ad Assisi nel 1861 soggiornò anche Franz Liszt, il grande compositore e pianista ungherese, e lì compose due delle sue opere più significative: La prédication aux oiseaux e St. François de Paule marchant sur les flots, che insieme costituiscono il ciclo Deux Légendes, entrambe dedicate a un San Francesco (la prima a quello locale, la seconda a quello, meno noto, di Paola). 

La prédication aux oiseaux (“predicazione agli uccelli”), in particolare, si ispira al famoso episodio in cui Francesco predica agli uccelli. Composta in La maggiore e dedicata alla figlia Cosima, la Prédication sfida le mani di chi la esegue. Liszt cercò di evocare l'episodio attraverso l'uso di arpeggi, trilli rapidissimi e cromatismi che richiamano il canto degli uccelli e anticipano alcuni aspetti (la manipolazione del timbro pianistico, la languidità emotiva) dell'Impressionismo di Debussy o Ravel. Dopo il Cantico delle Creature sulla Ripa della Luna, può essere questo il giusto ascolto mentre si vaga per i vicoli di Assisi.