Giorno dopo giorno è il progetto per raccontare Peccioli, il borgo Bandiera Arancione del Pisano che in questi anni ha visto portare avanti, anche con il sostegno e la collaborazione del Touring Club Italiano, molte iniziative riguardanti lo sviluppo turistico sostenibile. Nell'estate 2025 i 4600 abitanti di Peccioli sono stati chiamati a dare il loro punto di vista sul borgo, raccontando la loro esperienza, aneddoti sulle tradizioni e sulla quotidianità, momenti memorabili, stranezze, episodi che li legano al territorio e alle sue peculiarità. In questa pagina la presentazione del progetto e l'indice delle storie raccolte; a seguire quelle a tema luoghi, profumi, parole.

Il mare di Peccioli

di Paola B.

A Peccioli non avendo il mare vicino e non avendo la possibilità di andare al mare nelle località marine, le famiglie si ritrovavano in estate o in autunno o primavera lungo le rive del fiume Era che scorre ai piedi del paese. Li lungo il fiume si facevano le merende, il bagno nel fiume, si pescava, cosi trascorrevano le giornate con tanti bambini a giocare.

L'odore del latte

di Marilù P.

Via Borgherucci, era per me, la via grande. La percorrevo spesso e la sera ancora una volta, per andare con la bottiglia vuota a presto il latte da Remo, in cima alla Carraia. L'odore del latte impregnava i due metri di quella piccola bottega. Ti faceva pensare ai biscotti che ci avrei presto inzuppato.
Quell'odore unico, avrebbe sempre caratterizzato quella via, via Carraia.

Le vele

di Cristiana D.A.

Il soffitto della camera si trasformava in un caleidoscopio e la mia fantasia volava all'infinito. Mamma in estate nel primo pomeriggio mi portava con sé nel lettone per fare il riposino, ma io non riuscivo ad addormentarmi perché fantasticavo con le figure che si creavano sul soffitto. Attraverso le persiane filtravano fili di luce ed al passaggio di una macchina o di un motorino sulla strada sottostante, i fili dorati si trasformavano sulle vele del soffitto in sorprendenti personaggi fantastici.

La camera dei miei genitori in seguito divenne la camera delle mie figlie. Quella notte Anna non stava bene, aveva la febbre alta ed io stetti con lei fin dal mattino, la controllavo e fra una carezza e una preoccupazione stavo alla finestra in attesa delle luci dell'alba. Da quella finestra si vede in lontananza uno spicchio di Valdera, compreso fra l'angolo della casa di fronte e l'ultimo tratto della Chiesa Parrocchiale. Uno scorcio magico che mi faceva ricordare i fili di luce ballerini di quando ero piccola e in quella stessa camera fantasticavo.

Al mattino presto vidi un certo movimento davanti alla Chiesa, la macchina dei Carabinieri e dei Vigili e Don Franco il nostro parroco che andava avanti e indietro piuttosto allarmato, era stata rubata la tela della Madonna delle Grazie, dipinto molto prezioso della scuola di Giotto. I ladri erano entrati attraverso la bifora che si trova nella parete finale della Chiesa. Per i pecciolesi che amavano quella Madonna, era come aver strappato loro il cuore dal petto! La Madonna era delle Grazie e non di Giotto, perché ogni volta che c'era in paese qualche situazione di pericolo o si attendeva l'esito di un intervento di un ammalato, la popolazione si inginocchiava ai suoi piedi e chiedeva “la grazia”.

Io che ero stata tutta la notte alla finestra e guardavo quei due muri, bifora compresa, che incorniciavano quello spicchio di Valdera, non avevo visto nulla e provavo rabbia e un senso di colpa incredibile.

Il fantastico caleidoscopio delle vele con i suoi fili dorati aveva preso il sopravvento e il mio sguardo puntava lontano nel tempo e nella fantasia, lontano a tanti bellissimi ricordi.

La Madonna delle Grazie dopo anni è stata ritrovata e riportata al suo posto, però è stata messa al sicuro e su quell'altare c'è una copia perfetta.

Il nemico invisibile

di Cristiana D.A.

La bara bianca fece il giro della piazza, un giro grande che venne a sfiorare l'imbocco di Via Carraia. Renzo così ci salutò e poi proseguì per il suo viaggio chissà dove.

Negli anni 60 molte famiglie dalle campagne vennero ad abitare in paese, la vita stava cambiando, soprattutto il modo di vivere cambiava velocemente. La vicinanza della scuola, del medico, dei negozi e i più giovani che entravano in fabbrica, contribuirono ad una rivoluzione epocale. La famiglia di Renzo veniva dalle Serre ed erano contadini dei Fondi Rustici della proprietà Gaslini.

Vennero ad abitare nei pressi di Vicolo Pitti dove anch'io ero nata e dove noi ragazzi giocavamo a pomeriggi interi. La nonna non doveva più spolverarsi le scarpe quando entrava in paese, o cambiarsi il fazzoletto in testa con quello nuovo, tutto era più semplice e la serenità era di casa.

Ma il lupo cattivo si scoprì che non stava nel bosco, dove Renzo aveva scorrazzato ogni giorno fino a 10 anni, ma era in agguato altrove.

A scuola ci avevano spiegato che stava arrivando il vaccino per la poliomelite e ci avrebbe salvato da questa brutta malattia, eravamo in attesa e da bambini non comprendevamo fino in fondo la pericolosità. Ma quando si portò via Renzo diventammo grandi tutto d'un colpo.

Ricordo di aver provato paura, disperazione e dolore ed il ricordo di questo fatto è ancora così presente nella mia mente come in quella di chi ha vissuto quel momento.

Le lucciole nelle grotte!

di Marilù P.

Le lucciole erano dappertutto, ma la via delle grotte ne era il regno.
Tutti noi cenavamo veloci, dopo di che uscivamo correndo per andarle a cercare. Niente di più magico, si scendevano un po' di gradini ed eccole, le magiche lucciole. Si stringevano nelle mani e poi, tornati a casa, si mettevano sotto ad un bicchiere. La notte, ogni bambina pensava alla gioia del mattino, in cui avrebbe trovato gli spiccioli che quei lumicini avevano partorito. La gioia era nell’energia che quelle piccole lanterne riuscivano a dare, la magia e la bellezza!

Il convento dei frati a Peccioli

di Paola B.

A Peccioli nel XIII secolo è nato frate Domenico da Peccioli, filosofo studioso. Durante il suo priorato Domenico ricevette molte donazioni a favore del Convento da parte dei fedeli, uno di questi fu Piero Gambacorta 1381,fece dono del Monastero di San Domenico ,della chiesa e del giardino annesso, dove più tardi venne sepolta ai piedi dell'altare la figlia Chiara suora di clausura, beatificata poi dal Papa PIO VIII.

Il convento era un punto di riferimento per i cittadini di Peccioli dove i frati si cimentavano nel curare le persone con unguenti, tisane, ostie… La gente veniva dai paesi vicini a farsi curare, i frati non si facevano pagare, le persone portavano loro frutta, ortaggi, come riconoscenza.

A quei tempi i dottori non c'erano, gli ospedali erano raggiungibili trainati dai buoi non esistevano le ambulanze. Il convento era un punto di riferimento quando le persone avevano problemi di salute. Oggi i frati non ci vivono più, vengono la domenica a dire la messa, ogni tanto si celebra un matrimonio. Il convento si trova alla fine del paese.

Mia mamma originaria di Montecchio

di Vilma L.

Mia mamma, originaria di Montecchio, sposò mio babbo e tornò a Peccioli.
A quell’epoca, il dopoguerra, i mezzi di trasporto erano le corriere. Nel nostro paese veniva la SITA.
Ma i soldi non c’erano e le nostre mamme, la notte, andavano a raccattare qualcosa da mangiare negli orti dei contadini. Perciò se la mia mamma voleva andare a trovare suo babbo e parenti a Montecchio si andava a piedi passando dalle traverse.

Io ero molto piccola, perciò, quando si partiva a piedi, si scendeva la Carraia, poi la Costia, passando dalla Valle e su su fino a arrivare sotto la chiesa di Montecchio dove mio zio lavorava la terra del prete.
Si arrivava proprio nel suo pezzo dove aveva un pelago, che ancora oggi mi fa paura. Essendo un buco dentro la terra pieno di acqua, ma te lo trovavi davanti e se non lo vedevi potevi cascarci dentro.

Ma questo tragitto per me era un’avventura, perché lungo la strada trovavi ponticelli sopra fiumiciattoli, rifugi scavati nel tufo, animali vari, fiori, uccellini, farfalle, sembrava di essere in una favola. Filari di vigne, vitarbe, un percorso incantato, a parte il dolore alle gambe perché i chilometri per una bimba erano abbastanza pesi.

Alcune volte la mia mamma ci portava una mia amica, allora era ancora più bello. Quando il mio nonno mi raccontava delle favole la mia mente ripercorreva quei posti, per me favolosi.

Tutto è iniziato da una lista della spesa

di Nicoletta B.

Il primo anno di convivenza con un pecciolese non è stato facile, a causa di un problema tutt’altro che trascurabile: la comunicazione.

Durante il trasloco, una mattina in cui mi sentivo particolarmente stanca e confusa, mi trovai in cucina davanti a un foglio lasciato da mio marito sul tavolo. C’era scritto:

  • bacchio
  • granata
  • asciughini
  • cencio
  • catinella per rigovernare i ciottoli
  • nasini
  • acquetta
  • pomata per i maoli
  • fritt

Ricordo ancora quel senso di smarrimento e quella domanda, che ancora riecheggia nella mia memoria, mentre fissavo quel foglio come si guarda nel vuoto cosmico: “Ma io, concretamente, cosa devo comprare?”

I miei nonni viareggini mi avevano dato qualche anticipazione di un linguaggio colorito, ricco di espressioni ed esclamazioni vivaci, ma ero comunque impreparata ad affrontare la quotidianità a Peccioli senza un traduttore simultaneo. Quella lista della spesa fu l’impulso che mi spinse a scavare nelle storie di paese, alla scoperta di parole nuove, comprese quelle cadute in disuso. La curiosità e la passione per l’etimologia mi portarono a fare tantissime domande e ad approfondire il significato di nomi, modi di dire, soprannomi e toponimi.

In questi anni ho conosciuto la mota e i gozzi, l’aonco e il mal di vita, i ciucciamelli e il popone, la Gattina e la Topina, Il Fosso e la Casina, il licite e il canterale, il rumaiolo e la sistola, il ramerino e la pementa, l’arrotare e l’accomodare, il groppone e la bazza, l’incignare e il diacere, il penerone e il govone, il mencio e la sciagattata, il lotro e la stinfia, il torsolo e il chiorbone, il trogolaio e il lezzo, l’oimmena e l’oioia, il bubbolare e il chetarsi.

Oggi ho una discreta padronanza del vocabolario di Peccioli, il mio modo di comunicare è migliorato ed è in continua evoluzione. Ringrazio chi, in questi anni, ha avuto il tempo e la pazienza di raccontarmi e spiegarmi cosa c'è dietro a tante parole.

La parola è una bacchetta magica, può trasformare, nutrire, muovere molte leve. E io non voglio mai smettere di imparare a farne buon uso.

Il paese dei soprannomi

di Paola B.

A Peccioli i soprannomi si tramandano di padre in figlio. Per indicare una persona o una famiglia usano i soprannomi, magari non sappiamo i nomi propri, ma...

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