Giorno dopo giorno è il progetto per raccontare Peccioli, il borgo Bandiera Arancione del Pisano che in questi anni ha visto portare avanti, anche con il sostegno e la collaborazione del Touring Club Italiano, molte iniziative riguardanti lo sviluppo turistico sostenibile. Nell'estate 2025 i 4600 abitanti di Peccioli sono stati chiamati a dare il loro punto di vista sul borgo, raccontando la loro esperienza, aneddoti sulle tradizioni e sulla quotidianità, momenti memorabili, stranezze, episodi che li legano al territorio e alle sue peculiarità. In questa pagina la presentazione del progetto e l'indice delle storie raccolte; a seguire quelle a tema giochi, divertimenti, usanze, generazioni.

Tra balli e nocciole: i ricordi di un'adolescente a Peccioli nei primi anni '50

di Nicoletta B.

Noi ragazze di 16 e 17 anni nelle sere d'estate giocavamo in piazza Monsavino e in via Lambercione. Alla sera nelle strade non c'erano macchine e sia i ciuchi che i cavalli restavano nelle stalle. Ci si riuniva nella piazzetta Monsavino vicino a un muricciolo. Lì c'era anche una fontina e ci si metteva a sedere negli scalini. Si giocava a volte a saltare la corda o a rimpiattarello. Il mio gioco preferito era il gioco delle nocciole. Si compravano le nocciole e si pulivano, si mettevano in fila o si faceva il castello formato da tre nocciole più una sopra, oppure si mettevano tutte "giro giro'' e con quella più grossa, chiamata il Boro, si tirava. Vinceva chi buttava giù più nocciole.

Nei pomeriggi estivi noi ragazze per passare il tempo ci sedevamo sui gradini a ricamare e cucire centrini.

La domenica pomeriggio si ballava nelle case dei ragazzi con la musica del grammofono e si ascoltava Claudio Villa e Luciano Tajoli. Il mio babbo a ballare non mi ci mandava ma siccome alle 16 c'era il Vespro allora la mia mamma mi copriva: si diceva al mio babbo che andavo al Vespro e invece andavo a ballare con le mie amiche! Il mio babbo comprò la radio, ma non mi faceva ascoltare le mie canzoni preferite perché voleva sentire solo il Giornale Radio.

Durante l'inverno non si giocava fuori perché faceva molto freddo. Ci si scaldava a casa con il camino e il caldano.

La fuga sugli zingoni

di Luigi B.

Nei pressi del fiume Era un contadino era solito piantare al margine del campo di grano, filari di uva, poponi e cocomeri tra alberi di mele e pere. Il campo era vicino ad un punto del fiume dove eravamo soliti fare il bagno. L'acqua dell'Era era alta in quel punto e da un albero sulla sponda alto 3 metri facevamo i tuffi un pomeriggio intorno alle tre in cinque o sei ragazzi.

Dopo aver fatto il bagno, scalzi e in costume, siamo andati a prendere delle pere su uno degli alberi. In quel momento il contadino ci ha sorpresi, ha urlato ed è venuto verso di noi correndo lungo il filare. Noi siamo scesi velocemente dall'albero e abbiamo iniziato a correre verso il fiume tra i filari di grano tagliato, cercando di scansare gli zingoni. La mietitura del grano era manuale a quel tempo, gli zingoni erano gli steli di diverse altezze che restavano nel terreno ed erano pericolosi perché se pestati tagliavano i piedi.

Noi ragazzi però eravamo esperti e abituati a correre in quelle condizioni! Non si correva in maniera normale, la pianta dei piedi non si appoggiava del tutto ma strusciava quanto bastava a piegare a terra gli steli in modo che non bucassero. Per me poi c'era un altro problema perché oltre a correre e scansare gli zingoni dovevo pensare agli occhiali che nella fretta non potevo reggere.

Ci siamo tuffati ma, arrivato all'altra sponda, mi sono accorto che avevo perso gli occhiali. La soluzione era soltanto una: andare dal contadino, prendermi qualche pedata nel didietro e farmi ridare gli occhiali. Così ho fatto e timoroso gli ho chiesto scusa. Lui non mi ha fatto nulla, è stato bravo, mi ha ridato gli occhiali e io contento sono tornato a casa.

Il gioco delle nocciole

di Barbara D.S.

Non so in quanti ricorderanno il gioco delle nocciole, un gioco bellissimo che negli anni Sessanta, Settanta e parte degli anni Ottanta, si eseguiva, tra bambini e anche adulti, per le strade e piazzette del mio paese, il paese di Peccioli, uno dei borghi tra i più belli d'Italia.

Io me lo ricordo molto bene e mi dispiace tantissimo che nel tempo sia scomparso e che non lo si giochi più. Sarebbe fantastico poter rivedere gruppi di bambini e bambine aggregarsi e tornare nelle strade a poterlo giocare di nuovo. Forse utopia?! Io proverò a raccontarvelo, ritornando a quei vecchi e bellissimi tempi, in cui le grida dei bambini si disperdevano in tutti i quattro rioni del paese, il Borgherucci, il Fosso, la Carraia e il Messico, divertiti e con le loro ginocchia, disegnate da piccole e grandi crosticine, ma dove la vita pareva più serena e spensierata di oggi, dove ogni mamma si sentiva tranquilla nel lasciare andare i propri bambini a giocare per strada, tanto c'era sempre qualche mamma o qualche nonna o nonno, zio o zia, che vigile poteva controllare le loro dinamiche di bambini allegri, vivaci, ma felicemente contenti.

Allora il gioco delle nocciole teneva, allegri grandi e bambini, in un altalenarsi di giornate autunnali che ci preparavano all'inizio della scuola, ma che potevamo fare, anche in estate, per il periodo delle vacanze. In autunno prevalentemente, perché le nocciole si raccolgono in quel periodo, poi perché durante la fiera del paese che si tiene il primo martedì del mese di ottobre, si potevano comprare le collane di nocciole. Se le nocciole però non le avevi, nessun problema, potevi sempre andarle a comprare da Fernanda, la fruttivendola del paese, personaggio mitico, simpaticissima, sempre pronta allo scherzo e alla battuta, disponibile con i bambini. Se compravi le nocciole da lei, con poche lire, avevi il tuo sacchettino di nocciole ed eri certa che te ne regalasse anche qualcuna.

La scelta del luogo dove giocare era ampia, ma doveva essere preferibile una strada o una piazzetta, che avesse la piastrellatura, liscia e non in pendenza. Poi capirete il perché. Di solito piacevano molto la terrazza dietro la chiesa, come diciamo noi a Peccioli, in realtà quella dell'accesso principale alla stessa, il loggiato della piazza del Popolo, Via Monsavino o piazzetta Monsavino, si giocava al Canto, al Paoli, in San Francesco e ovunque si potesse fare… Mentre le grida dei bambini vivacizzavano le vie del paese, dalle finestre delle case, si espandeva nell'aria un profumo inebriante di ragù e patate fritte, che faceva venire l'acquolina in bocca; stormi di rondini sorvolavano il campanile, con il loro garrire, rendendo l'atmosfera magica e soave, pregna di un calore di vita che oggi ci possiamo solo sognare.

Le nocciole le mettevi in piccoli sacchetti di stoffa, preparati dalle mamme, ma se non le avevi, bastava avere in tasca qualche soldino da dieci lire, perché quello era il valore attribuito negli anni Settanta, ad ogni castella. La castella era formata da quattro nocciole, tre che formavano la base e una nocciola che veniva posta sopra le altre tre. Piccoli gruppi si incontravano nei luoghi destinati al gioco e si iniziava a fare la conta dei partecipanti, dopodiché ogni partecipante al gioco, disponeva, a formare un piccolo o grande cerchio, la sua castella di nocciole a terra. Poi si faceva la conta per chi avrebbe giocato per primo, fino all'ultimo, usando le filastrocche di quel tempo, come Ambarabàcicicoccò. E così iniziava il gioco!

Ci si disponeva a circa dieci metri dal cerchio delle castelle, e ognuno dei partecipanti aveva in mano un boro, una nocciola scelta tra quelle di cui si disponeva, e certamente più grossa delle altre, poi uno alla volta si tirava sul cerchio, tentando di disfare più castelle possibile. Quante più castelle riuscivi a buttare giù, quanto più vincevi. Se qualche partecipante, non aveva la castella, poteva mettere le dieci lire vicino ad una castella prescelta. Quindi se riuscivi a buttar giù la castella con le dieci lire, vincevi il doppio. I bori al primo tiro si disponevano più vicini o più lontani al cerchio, e se rimanevano castelle dopo i primi tiri di andata, si procedeva al tiro di ritorno, e il partecipante che rilanciava per primo, era quello che aveva il boro più lontano, dal cerchio delle castelle. Non tutti giocavano correttamente, spesso il boro veniva truccato, per renderlo più pesante in maniera che si riuscisse a buttare giù più castelle. Si faceva un buchino nella nocciola, e vi si inserivano piccoli pallini di piombo, quelli usati per riempire le cartucce dei cacciatori, poi si ricopriva con la cera, in modo che non si vedesse. Quello era definito il boro piombato! Però, però, se il furfante veniva scoperto, lo si faceva fuori, rendendogli più difficile la partecipazione al gioco per le volte successive.

Penso che valga la pena di ricordare questo bellissimo gioco, che ha coinvolto generazioni e generazioni di bambini e non solo. Un gioco semplice, ma di così tanta aggregazione. Sarebbe bellissimo poter rivedere qualcuno ritornare per strada a disputare la gara. Chissà se un giorno si potrà organizzare qualche gara in merito?!

A una certa età

di Vilma L.

A una certa età mio nonno perse la cognizione dei luoghi e così una volta mi mise a letto nella camera di una vicina di casa e non c’era verso di fargli capire che non era casa sua.

Una volta entrò nella chiesa del Fosso (Piazza del Carmine) mentre una signora stava pregando e vide una scala. Cominciò a salirci facendo dei rumori. La signora, che non l’aveva visto entrare, cominciò ad impaurirsi non vedendo nessuno e sentendo i rumori andò fuori della chiesa dicendo che in chiesa ci si sentiva il diavolo, o qualcosa di simile, tipo qualche anima in pena.

Fino a che sul campanile non videro mio nonno all’altezza della campana.
Allora cominciarono a chiamarlo dicendogli di fermarsi, di non muoversi, perché poteva cascare di sotto.
Qualcuno andò a prenderlo e tutto finì bene.

Il mi nonno Bazzino

di Daniele C.

Nel libro Storia di Peccioli, è riportato che Bazzino in oltre 60 anni avrebbe bevuto un fiasco e mezzo di vino al giorno, dice la storia. Fino a 22 anni non lo aveva mai bevuto ed il tutto iniziò allo sposalizio con la sua Albina. A cavallo degli anni 40 - 50, dopo smise, sempre seduto sugli scalini del posto pubblico del telefono davanti al comune, gli andavo davanti e gli dicevo "nonno mi dai 10 lire" e lui mi guardava silenzioso e poi serio serio mi diceva "Demognio animale, se avevo 10 lire che stavo qui" e con questa uscita mi aveva già pagato.

Altro episodio creato dal vino bevuto più del solito quando una sera fu accompagnato a casa da degli amici e non potendo Bazzino riuscire ad
aprire la porta, gli chiesero la chiave. Lui gli dette il sigaro al che
loro glielo resero dicendogli che non era la chiave.
Lui lo riprese e ricominciò a frugarsi e gli ridette il sigaro e loro: "noo questo è il sigaro"… e lui di rimando battendosi la mano sulla fronte "Demogno Animale ho fummato la chiave"!

La raccolta differenziata degli anni Sessanta

di Paola B.

A Peccioli negli anni Sessanta già si faceva la raccolta differenziata, passava di casa in casa un uomo di una certa età, viveva a Peccioli con la sorella, aveva una bicicletta ma non ci saliva la portava a mano, la bicicletta gli serviva per caricarla (come un asino) di tutta la roba vecchia che lungo la strada le persone gli lasciavano, alluminio, rame, cartoni...

Lui passava con la sua bicicletta e la raccoglieva, i bambini lo aspettavano e quando si fermava con la bicicletta gli andavano vicino e gli facevano degli scherzi, ma poi veloci si allontanavano per non essere rimproverati da quest’uomo.

Se poi l’alluminio o il rame o i cartoni li portavi alla sorella (in generale erano i bambini che si occupavano di portarli) lei per ricompensa gli dava una caramella o più caramelle a seconda di quanta roba gli portavano.

Eraldo in televisione

di Cecilia P.

Giugno 1950. Eraldo era passato! Eraldo era in finale! Al concorso di coltivatori diretti della Rai! Nel paesino di Montecchio non si parlava d'altro. Eraldo Catarzi sarebbe stato in televisione! Alla Rai! Ma negli anni 50 nessuno aveva la televisione, nessuno aveva la possibilità di spendere per una simile sciccheria inutile. Tutti gli abitanti del paesino tuttavia non si volevano perdere l'occasione di vedere un proprio compaesano dall'altra parte dello schermo, così si organizzarono tutti per andare a vedere il programma Rai al circolo del paesino di Montecchio, da Chiarina.

C'è chi portò anche la sedia da casa perché non c'erano sedie a sufficienza, e chi si dovette mettere fuori a guardare la tv dalla finestra perché tutti non potevano entrare nella botteghina di Chiarina!

Per arrivare al circolo non tutti erano del paese. La famiglia di Eraldo stava alla Nicchiaia, al Poggio alle Nicchie e nonostante piovesse a catinelle, Caro, Marina, i genitori, Anna Maria e Amerigo, i fratelli, partirono a piedi, ma non andarono a Montecchio per vedere la tv, ma a Peccioli, benché più lontano di 5 chilometri a casa della famiglia Merlini. I fratelli Ida, Enrico e Magda, li accolsero in casa loro, avevano la tivù: il motivo era semplice, erano intimoriti da tutta questa folla, tutto questo clamore, essere al centro dell'attenzione, avere un figlio in tv, mamma mia!

Per farla breve Eraldo fu bravo, rispose a tutte le domande e vinse il primo premio! Una medaglia d'oro e 200 lire! 200 lire ma chi l'aveva mai viste??? Tutto il paese fece festa bevendo vino rosso e mangiando buccellato, qualcuno si ubriacò… Ma questa è un'altra storia.

La Coppa Sabatini

di Paola B.

La Coppa Sabatini è una gara di ciclismo diventata nel tempo una gara a livello Nazionale, tutto è iniziato perché Giuseppe Sabatini nato a Peccioli il 22 Marzo 1915 era un ciclista indipendente, la sua prima bicicletta la costruì da solo. Con la grande passione che aveva diventò con il passare del tempo un ciclista a livelli professionistici.

Per rendere omaggio al proprio compaesano si autofinanziano e organizzarono un gara ciclistica, all'inizio partita come gara amatoriale, nel tempo diventata una gara ciclistica a livello Nazionale. Da 70 anni per il paese di Peccioli la Coppa sabatini è diventato un evento molto sentito e partecipato, che porta il paese di Peccioli a livello nazionale.

Pic nic sotto le stelle

di Giulia G.

Due anni fa, con l'associazione di cui faccio parte (Divercity) insieme ad un sacco di realtà tra cui la Biblioteca comunale, gli astrofili, la filarmonica e l'associazione Casa Ilaria abbiamo realizzato un fantastico pic nic al tramonto.

Più di 200 pecciolesi e non si sono radunati sul prato della biblioteca di Peccioli e nel fresco del tramonto hanno cominciato a cenare e a godere della musica dal vivo della filarmonica, nell'attesa che calasse il buio e le stelle si mostrassero, descritte dagli astrofili e osservate dai loro telescopi.
Ho avuto il piacere di essere a capo dell'organizzazione di questo evento, molto impegnativo per Divercity, che ha regalato grandi gioie ai presenti e ai volontari. Famiglie, anziani, turisti hanno passato una serata diversa, stesi su un grande prato e ci sono molti scatti che ripercorrono quella esperienza.

Sputnik Club

di Annamaria F.

Erano gli anni 60, l’Italia viveva il boom economico e anche a Peccioli, piccolo paese di campagna, quell’ondata di cambiamento arrivò come un vento nuovo. Non investì tutti allo stesso modo, ma l’aria cominciò a cambiare.

Le nostre madri ci osservavano incredule mentre osavamo indossare le prime minigonne, i pantaloni a zampa d’elefante, e truccarci con sempre più decisione. In fondo eravamo semplicemente adolescenti, per lo più privi di mezzi e di scolarizzazione. Figli di operai e contadini.

In quel contesto rurale, iniziarono a formarsi dei gruppi, due in particolare:  potremmo dire che furono una sorta di “generazione Z” anticipata. Due gruppi diversi, con identità ben distinte, che fondarono i propri club. C’erano i ragazzi della “crema”, i cosiddetti fighetti dell’epoca: più abbienti, più colti, più allineati con la modernità. E poi c’eravamo noi, quelli del circolo ACLI, gestito dalla famiglia di Sandra, moglie del “poeta”. È lì che nacque il nostro Sputnik club, forse ispirato al primo satellite artificiale messo in orbita dall’Unione Sovietica.

Lo avevamo immaginato come un rifugio, ma anche come una dichiarazione d’intenti, non volevamo essere solo spettatori  del cambiamento, volevamo farne parte. Il nome lo scegliemmo con orgoglio; evocava qualcosa di lontano, tecnologico e moderno. Noi, che venivamo da famiglie modeste, ci riconoscevamo in quell’immagine.

Il club, ubicato a Peccioli, nella scesa del chiasso di “Melomagno”,  non era altro che una stanza spoglia, con tavoli in legno, qualche sedia  scompagnata, un vecchio giradischi e un piccolo palco improvvisato per le esibizioni, ma a noi sembrava di possedere un mondo intero, si discuteva di politica senza capirla davvero, ma con l’urgenza di chi sente che sta nascendo qualcosa di nuovo.

Ricordo con infinita tenerezza i giorni dei primi amori, delle prime sigarette  condivise con le mie amiche: Vilma, Grazia, Patrizia, Adelina e Tamara che porto sempre nello zaino dei miei ricordi.

Sono passati tanti anni da allora, la Peccioli di quel tempo è ormai un ricordo sbiadito, e nulla lasciava presagire cosa sarebbe diventato quel piccolo paese. Ma io porto sempre dentro di me il pensiero di quei ragazzini semplici, poveri forse, ma tenaci, che con costanza e tenacia sono riusciti a costruirsi una vita.

Forse i gruppi esistono ancora, forse le differenze economiche  continuano a dividere, oggi come allora. Ma còo che ci ha davvero tenuti uniti allora – e forse per sempre - è stato il senso di correttezza, dignità e l’amore profondo che nutrivamo per le tradizioni e le nostre famiglie.

Era questo, più di ogni altra cosa, il nostro vero punto di partenza.

ll circolo La ginestra e il bar del Guazzini

Primi anni ottanta. Non ricordo la data esatta, ma all'incirca erano i primi anni 80. Il circolo la Ginestra era un insieme di lavori, che non starò ad allenare, ma ciò che ricordo bene era il lavoro interessante che facevamo. Ci confrontavamo, parlavamo, ci scambiavamo idee, era un posto colmo di parole. Immediatamente prima dell'entrata del cinema Passerotti c'era una sala dove, con sedie circolari, facevamo uscire idee, idee che ci aprivano all'attualità. Cultura sì, ma anche tanto altro. Il tutto al cinema Passerotti.

Piazza del Carmine o per ben dire il Fosso. È stata per un bel ventennio piazzetta Capri. Il sabato e la domenica avere posizione in un tavolino di quel bar era un po' come sentirsi fortunati. Oltre ad un buon servizio, era agevolato da una posizione in cui si poteva vedere il passaggio della gente, i vestiti di questi e i vari pettegolezzi. Ghiaccioli, granite colorate, coppe di gelato e bibite a volontà riempivano i tavolini. Sembrava di essere un po' in vacanza nella piazza circolava un'aria estiva e gioiosa. Famosa poi la panna del Guazzini nonché le granite. I miei ricordi spesso tornano a quelle sere in cui ho sentito l'estate vera. Quante parole saranno rimaste in quel cemento, e adesso mi chiedo: quanti amori saranno nati? Quanti amori rimpiazzati da altri amori? Forse un po' lo so…