Giorno dopo giorno è il progetto per raccontare Peccioli, il borgo Bandiera Arancione del Pisano che in questi anni ha visto portare avanti, anche con il sostegno e la collaborazione del Touring Club Italiano, molte iniziative riguardanti lo sviluppo turistico sostenibile. Nell'estate 2025 i 4600 abitanti di Peccioli sono stati chiamati a dare il loro punto di vista sul borgo, raccontando la loro esperienza, aneddoti sulle tradizioni e sulla quotidianità, momenti memorabili, stranezze, episodi che li legano al territorio e alle sue peculiarità. In questa pagina la presentazione del progetto e l'indice delle storie raccolte; a seguire il racconto di Massimo B.
La vita di Massimo cambia radicalmente quando il medico gli dice quelle parole che nessuno vuole sentire: "Da ora in poi non vai più a giocare a pallone, non vai più a correre, non vai più a fare sforzi." Cinque vertebre schiacciate, tre ernie al disco, e soprattutto una tiroide che per dodici anni aveva dato segnali che nessuno aveva saputo cogliere. "Ero ipotiroideo da 12 anni, stavo male ma nessuno capiva cosa avevo ed ero arrivato a pesare 160 chili. Praticamente ho quasi rischiato di morire perché non l'aveva scoperto," racconta.
Nel giro di due mesi sarebbe potuto morire. Un endocrinologo di Pisa gli salvò la vita con una metafora che non dimenticherà mai: "Guarda, io non ti posso dare ora una goccia d'acqua. Tu hai attraversato il deserto senza bere, quindi io ti devo bagnare solo le labbra." E così ricominciò, piano piano. Il dottore gli propose due alternative: piscina o bicicletta. "Per la piscina dovevo andare a Ponsacco o Pontedera, fare un sacco di strada… E da lì ho iniziato ad andare in bicicletta, mi ci sono appassionato."
La passione per le due ruote, in realtà, ce l'aveva sempre avuta. Ma ora la bicicletta non era più solo un passatempo: era diventata una medicina, una nuova vita, una seconda possibilità.
Il Battesimo del Fuoco in discarica
Erano i primi anni 90 quando Massimo mise piede per la prima volta nella discarica di Legoli. A 29 anni, entrava in un mondo che aveva già una sua storia di conflitti: la discarica era nata nel 1989 per bonificare una situazione di degrado ambientale che si trascinava dagli anni precedenti, quando i rifiuti venivano scaricati a cielo aperto nelle valli. La società che gestiva l'impianto si chiamava Ecogest, una ditta fiorentina. Il sindaco Macelloni aveva fatto una precisa scelta politica: assumere dipendenti del comune, dare lavoro ai pecciolesi e ai legolesi. Massimo fece domanda e venne preso.
Le macchine operatrici erano il suo mondo: il compattatore che schiacciava la spazzatura, la ruspa, l'escavatore. "Io c'ho la patente del camion, quindi il camion lo sapevo guidare. Era già una cosa buona." Ma le macchine operatrici erano tutta un'altra storia. Fu un ragazzo di 23 anni a insegnargli il mestiere. "Era particolare, però era bravissimo. Mi disse: 'Monta sopra.' Io ero terrorizzato. Monta sopra! ed Io: io monto, però spiegami un attimino."
Il primo giorno sul compattatore fu memorabile. "Praticamente io salgo su questa macchina, do un filo di gas per rendermi conto… questa titubanza all'inizio. Dopo due minuti che guidavo mi prende il ginocchio, me lo spinge e da gas." Il ragazzo gli gridò: "Guarda, come si fa e adesso butta giù la Lama!" "È stato uno che mi ha insegnato a lavorare," ricorda Massimo con gratitudine. Sei anni insieme, imparando piano piano tutte le macchine, prendendo fiducia. "Come tutte le cose, poi piano piano ci prendi la mano."
La guerra dei rifiuti
I primi anni in discarica furono durissimi, non tanto per il lavoro quanto per i rapporti con la comunità di prossimità. Gli anni '90 e i primi del 2000 furono il periodo della "guerra dei rifiuti" a Peccioli. "C'è stato un pro e contro," racconta Massimo. "La gente del paese c'è stato un po' di guerre. Episodi fastidiosi come quando mandavano la Rai con la telecamera per riprenderci tutto il tempo."
Ci sono stati anche momenti di tensione e conflitto con le persone più vicine a Massimo: "Io sono stato buttato fuori dal bar di Legoli," confessa con un sorriso amaro. "Sono stati anni duri, molto duri." Le tensioni erano continue. C'era un norvegese che aveva casa sopra la discarica e "tutte le mattine veniva e faceva le foto. Cioè è proprio stato un delirio."
Quando morì una ragazza di 26 anni per meningite, "dicevano che l'aveva avuta per via della discarica. Questo per farvi capire il livello a cui eravamo arrivati…" La guardia forestale faceva controlli continui e una volta hanno anche picchettato la pesa”. In questo clima ci siamo finiti in mezzo anche noi lavoratori.
Un giorno fu decisivo per cambiare le cose. Un amico di Legoli lo prese a braccetto e lo riportò dentro il bar. "Gli chiese due Ramazzotti. Io non bevo nemmeno. Siccome li beveva lui, lo feci anche io. A quel punto lui si gira, io con lui. Guardiamo la gente in faccia, loro mi guardarono. Lui, il mio amico, gli disse: 'Lui qui dentro ci viene tutti i giorni. Perché non ve la dovete prendere con lui? Lui è uno che c'ha moglie e figlioli e va a lavorare.'"
Da quel momento Massimo iniziò a ricostruire i rapporti. "La mattina andavo a comprare il panino a Legoli, mi facevo vedere, ma non tanto per cercare di ricostruire una relazione, per socializzare un po' con tutti."
Dal ferro al computer
Dopo circa dieci anni sui mezzi, nel 2001 la discarica si stava evolvendo, erano arrivati i computer, serviva più personale in ufficio e Massimo fu scelto per questo compito.
Il passaggio non fu facile. "Entrai a lavorare con tutti i laureati e tutti a dirmi: 'Oh ma tu Buti sei uno che ha avuto fortuna nella vita, se hai a lavorare nel mezzo ai laureati.' Io con una battuta ironica gli dicevo sempre: 'Scusate, perché voi siete tutti laureati e io ho la terza media e sto con tutto intorno a voi. O son bravo io… o siete duri voi!'"
Ma Massimo aveva voglia di imparare. "Mi sono spaccato la testa, mi sono spaccato perché non ero allenato per fare una cosa del genere, però poi… ho imparato il protocollo, la parte segreteria, i formulari, il registro, le fatture." L'ufficio si ingrandì, si trasferì a Peccioli. Ma il passaggio più significativo fu quando nel 2016-2017 arrivò l'arte contemporanea. "Non avevo la più pallida idea. Poi vidi una donna con due puppe [riferimento ai giganti]… bella questa arte contemporanea mi dissi!". Le prime opere furono quelle del gruppo Naturaliter, poi arrivò Sergio Staino con i suoi murales colori e poi tante altre, anche se non tutti le capivano.
Il gabbiano nel cassetto
Tra i ricordi di Massimo, c'è un episodio che lo fa ancora ridere. La storia del gabbiano nel cassetto. "Una mattina mi hanno messo un gabbiano dietro la scrivania dell'accettazione. Io la mattina… apro il cassetto, nel tempo che apro il cassetto parte sto gabbiano!".
Il colpevole era Davide Galluzzi, un collega noto per i suoi scherzi. "È partito un gabbiano. Io sarei morto, credo proprio morto. Io apro il cassetto, nel tempo che apro faccio un salto in alto." Ma come aveva fatto Galluzzi a catturare un gabbiano? "Ha preso il becco al gabbiano, se ti morde il becco è tosto. E lui gliela ha chiuso e ci ha messo il filo di ferro." "È una cosa vergognosa," commenta Massimo ridendo. Ma questi episodi alleggerivano la tensione di un lavoro che li teneva sempre sotto il controllo costante, perchè nel mondo della gestione dei rifiuti si hanno molte responsabilità.
La Coppa Sabatini, una tradizione che scorre
La passione per il ciclismo di Massimo si intreccia indissolubilmente con la storia della Coppa Sabatini, una delle corse ciclistiche più antiche d'Italia. "La coppa Sabatini nasce da un ciclista pecciolese che si chiamava Giuseppe Sabatini, era un corridore professionista." La leggenda racconta che Sabatini vinse una gara dando 25 minuti a tutti gli avversari. "Allora non potevano dire che c'era un corridore solo perché erano tutti eliminati. Allora li reintegrarono spostando il tempo massimo della corsa."
Negli anni '50 e '60, la gente di Peccioli si auto-tassava per organizzare la corsa. "I corridori dormivano nelle case dei pecciolesi. Gli davano da mangiare loro. Che ospitavano e la sera gli davano da mangiare."
Massimo iniziò seguendo la corsa in moto accompagnando i giudici di gara. Un episodio rimase nella sua memoria: "Un corridore russo, Dmitrij Konyšev, era in fuga con Zanini. Quando affrontarono la discesa giù di Terricciola, si davano le gomitate… Allora io li dovevo tenere in vista. In bicicletta però si va molto più veloce che in moto in discesa." Il giudice di gara gli chiese cosa fosse quello scintillio, e Massimo si girò: non aveva il casco e "il cavalletto che strusciava in terra. È lì che io mi cago addosso. Perché alle curve c'erano i cipressi con un piccolo materassino di spugna, ma cosa voui che faccia un materassino di spugna se piglio una legnata lì in moto?".
Oggi Massimo si occupa della parte economica della corsa, che continua ad essere organizzata da volontari e cerca sponsor. "Abbiamo due ore di diretta l'11 settembre su Rai 2 o Rai Sport. Giro di Toscana e Coppa Sabatini."
Da quando il medico gli vietò gli sport ad alto impatto, la bicicletta è diventata la compagna di vita di Massimo. "Siamo andati sullo Stelvio, abbiamo fatto Bormio, abbiamo fatto Gavia. Due anni fa siamo andati all'Isola d'Elba. Poi siamo andati a Roma in bicicletta."
Il viaggio a Roma è uno dei suoi ricordi più belli. "Abbiamo fatto Peccioli-Roma in 2 giorni. Perché va bene la bici, ma vogliamo anche godercela, abbiamo fatto una sosta. Ristorante di pesce. Abbiamo detto: quello che c'è nel congelatore mettilo nella griglia." Per Massimo, quella passione nata da una necessità medica è diventata "una rinascita". "Per me questa qui è una seconda vita. Perché io nel giro di due mesi dovevo morire, ero arrivato proprio in fondo."
La Metamorfosi di Peccioli
Negli anni in cui Massimo lavorava in discarica, Peccioli ha subito una trasformazione radicale. "Il paese è cambiato molto, molto, osserva. "È stato rifatto tutto. Con delle agevolazioni dal Comune, hanno dato dei fondi a fondo perduto anche o agevolazioni di pagamento". La pavimentazione, gli impianti, le fognature: tutto rifatto. "Anche se le piastrelle che sono state messe qui davanti al Palazzo Senza Tempo… a me non piacciono," confessa con schiettezza.
Nel 1997 era nata Belvedere Spa, e le cose iniziarono a cambiare. "Quando è venuta la Belvedere, le cose sono un po' cambiate. La discarica ha iniziato a dare sostegno al paesello." La svolta definitiva arrivò con l'arte contemporanea e la trasformazione della discarica in un museo a cielo aperto. Quello che una volta era motivo di conflitto sociale è diventato il motore economico del territorio. "All'inizio c'era questo impatto, negli anni '90. Poi quando è arrivata la Belvedere le cose sono cambiate," riflette Massimo. La discarica che aveva vissuto come fonte di tensioni era diventata un modello per tutta Italia. Oggi Massimo può guardare con orgoglio alla sua storia. Ha attraversato una malattia che poteva ucciderlo, ha lavorato in un ambiente osteggiato dalla comunità, ha visto trasformare quello stesso posto in un simbolo di rinascita.